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L'editoriale - Di affetti stabili e lievito di birra

02/11/2020 14:30

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L'editoriale - Di affetti stabili e lievito di birra

L'editoriale - Di affetti stabili e lievito di birra - A cura di Letizia Cuzzola

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L' editoriale

 

 

 

Di affetti stabili e lievito di birra

 

 

 

di Letizia Cuzzola

Torno a scrivere dopo mesi di assenza non voluta, non cercata, nel più estremo dei dolori. Ci eravamo lasciati con un lockdown in corso, ci ritroviamo sulla soglia di una nuova chiusura.

 

Ci hanno insegnato qualcosa i mesi tappati in casa? No, assolutamente nulla se non dove si trovi il lievito di birra al supermercato. Dal canto mio, pur vivendo in una città che era stata graziata dalla prima ondata, vuoi perché siamo isolati come Tristan de Acuña, vuoi perché già da prima del lockdown più che in buone acque navigavamo nelle pozzanghere che si formano nelle buche in strada, qualcosina in più l’ho imparata mio malgrado.

 

Col senno di poi, gli eventi mi costringono a dire che i mesi a casa per Decreto, almeno per me, sono stati bellissimi, ma questa è un’altra storia di cui magari riparleremo più in là. In questi giorni mi chiedo se sono pronta a rivivere l’esperienza e la risposta è un NO grande quanto una casa con soppalchi, garage, giardino e rimessa. Da quattro mesi vivo sola, non per scelta, mi ci sono trovata e, non fosse per le modalità con cui si è palesata questa nuova situazione, la solitudine a tratti me la godo pure però… e la verità viene sempre dopo il però… mi rendo conto che la stagione invernale con le giornate ridotte a lumicino, il freddo per cui eventualmente a sto giro non ci attacchiamo neanche ai balconi, un po’ di ansia la mettono anche a me. Ma la mette anche il lavoro, la sua precarietà per cui ben comprendo le preoccupazioni e la rabbia di quanti protestano pur non condividendone i metodi; c’è la scuola (con buona pace dei ristoratori, se non ci hanno ancora messo sottovuoto è perché abbiamo tre milioni di studenti con sei milioni di genitori dietro che non saprebbero più come gestire i propri pargoli) che già non è stesse messa bene, figuriamoci con la DAD, e io della scuola mi preoccupo perché gli studenti di oggi sono quelli che decideranno del mio futuro domani (sic!) e poi, parliamoci chiaro: non siamo la Francia, noi le file per entrare in libreria e premunirci di libri per affrontare un nuovo lockdown, non le faremmo neanche ci fossero Dante, Petrarca e Boccaccio a lanciarceli dietro o Harry Potter con la Pietra Filosofale ad autografarceli. Insomma, il quadro generale non è dei più rosei.

 

Certo, qualcosa di pratico ci è rimasto, lo abbiamo messo da parte: abbiamo scoperto di saper cucinare, di poterlo fare anche nei giorni feriali e non solo la domenica; abbiamo scoperto di avere dei vicini di casa e che magari sono anche simpatici; abbiamo imparato un sacco di canzoni e coreografie nuove; abbiamo scoperto di avere un’edicola vicino casa e che andare a comprare i giornali cartacei non nuoce alla salute ma, anzi, ci può far prendere aria; abbiamo capito quanto sono importanti le relazioni sociali. Ma c’è da staccarsi i capelli se si considera che, se siamo di nuovo punto e a capo, evidentemente non tutti hanno imparato a rispettare le regole, le norme, le distanze, che la mascherina può essere anche un accessorio fashion se indossata nel modo giusto e non a minchia di gatto, ma capisco bene come in un Paese democratico ci possa stare che una percentuale di popolazione dissidente agisca pro domo sua senza essere per questo messa alla gogna o che ci siano, fra questi, quanti giungano a negare l’esistenza del virus (per voi, ciccini della zia, ho pronto un editoriale a parte, devo solo riuscire a mantenere in equilibrio il linguaggio).

 

Facciamo un passo indietro. Ve li ricordate gli “affetti stabili”? Quando avete incluso anche il parrucchiere perché avevate due palmi di ricrescita zebrata? Ecco, consapevole ormai che nella gestione pratica di un’eventuale nuova chiusura me la posso cavare, mi ritrovo a stilare nuovamente la mia lista e la restringo: ho perso mia madre due mesi fa, fosse successo in un altro momento storico, avrei potuto sentirla e vederla prima che accadesse; avrei potuto, soprattutto, ricevere un abbraccio dai miei cari, da quanti ho avuto sempre vicino ma, in rispetto alle norme, ho vissuto il mio immenso dolore senza il calore fisico delle persone che amo. Non è un’estremizzazione nel perseguire le regole: so cosa vuol dire perdere il bene più prezioso e non poter far nulla per evitarlo, ma so che se rispetto quelle norme semplici, semplicissime, posso evitarmi di rivivere e attraversare l’inferno da cui sto tentando di uscire. Ecco che la mia lista diventa brevissima e corrisponde agli abbracci che avrei voluto ricevere.

 

Torniamo a noi. Vi sto facendo saltare di palo in frasca volontariamente, in un brain storming necessario. Affrontiamo l’argomento da persone adulte che sono state costrette a una sorta di psicoterapia collettiva: di quanti rami secchi ci siamo liberati consapevolmente o inconsapevolmente?

Abbiamo fatto tesoro del tempo in più che ci è stato regalato con le persone davvero importanti per noi?

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Soprattutto, abbiamo capito chi è che davvero ha un posto nei nostri cuoricini da zucchine spinose e non solo in rubrica? Abbiamo finalmente compreso la differenza tra amici e conoscenti e che i rapporti vanno gestiti in maniera differente? Abbiamo imparato a usare i social come meri strumenti di comunicazione e non un universo parallelo in cui poter fare il cazzo che ci pare? Personalmente questo è stato il mio percorso e la risposta è Sì a ogni quesito. Vi invito a fare lo stesso test e a rispolverare quegli elenchi che avevate stilato per giocare e perché mi sa che serviranno anche quelli di nuovo, insieme alle cartucce della stampante, se vogliamo almeno provare a non passare il Natale da soli giusto quest’anno che mi merito il doppio dei regali…