L' editoriale
La cultura non ha prezzo ma forse dovrebbe averlo
Innegabilmente, in questi mesi di lockdown abbiamo dovuto aprire gli occhi sulla polvere che negli anni era stata abilmente occultata sotto i tappeti: abbiamo toccato con mano i danni fatti con i tagli in settori che si sono rivelati non solo necessari ma fondamentali per affrontare la crisi sanitaria in corso.
Se la riduzione dei fondi alla Sanità ha comportato il dover far ricorso a bandi di emergenza per reperire non solo il personale medico e paramedico ma, addirittura, le strutture, più in sordina è passato l’effetto dell’aver ridotto a brandelli il comparto culturale. Per la prima volta si è riconosciuta la lettura dei quotidiani quale bene di prima necessità, con buona pace di anni di lamentele dei grandi gruppi editoriali che urlavano alla morte del cartaceo a discapito dell’informazione online.
Quel che ne esce è una verità di fondo: online o cartacea sempre di informazione si tratta ma è altresì evidente la disparità di trattamento. La normativa equipara l’edizione online al cartaceo, dando per scontata la fruizione a pagamento degli articoli ma, ben sappiamo, che così non è.
Se le maggiori testate nazionali e internazionali hanno sviluppato ‘pacchetti’ di abbonamento per l’online come per il classico giornale, così non è avvenuto per molte testate che vivono principalmente o esclusivamente sul web e che si occupano di cultura e società. La peculiarità interessante è, però, l’atteggiamento del lettore che, chissà per quale meccanismo mentale, considera diversamente i formati, riconoscendo congruo, plausibile e ovvio che recandosi in edicola, il giornalaio chiederà che la copia del quotidiano, della rivista che gli sta porgendo venga pagata.
Il lavoro redazionale non varia in base al formato: è quello, i sacrifici e la passione sono gli stessi; quel che cambia è quell’atteggiamento del lettore cui si faceva riferimento poche righe più su. Perché?
Restiamo sul web per un attimo: acquistiamo online qualunque cosa utile e inutile senza battere ciglio; il giochino che abbiamo scaricato sullo smartphone ci chiede un obolo per avere gli strumenti necessari per superare un livello e noi paghiamo tronfi, già vincitori; per risparmiare un centesimo per acquistare qualche chinoiserie facciamo follie, compreso moltiplicare quei centesimi di risparmio in spese di spedizione. Però, e sottolineo però, se un web magazine ci chiede un euro a settimana o tre centesimi per continuare a leggere un articolo (che pure magari ci interessa e per il quale saremmo disposti a spendere anche i soldi della benzina per andare all’edicola più vicina per avere il giornale su cui l’abbiamo individuato), dietro il quale ribadiamo esserci la stessa quantità e qualità di sudore di qualunque scrivente qualificato, il meccanismo si inceppa, come se la rete non producesse prodotti reali.
Provocazione: a parità di contenuto, seguendo un ragionamento logico, razionale, razionalissimo, siamo disposti a pagare il tatto e l’olfatto del prodotto ‘informazione’ ma non l’informazione stessa? Perché?
I “perché” proposti non hanno una risposta, o meglio non ci interessa il nostro punto di vista che credo appaia chiaro, chi fa informazione lo fa per gli altri e non per sé. Lasciamo quindi sospesi questi quesiti, chiedendo ai lettori di continuare questo editoriale con le considerazioni “della controparte”.
L'esempio più lampante è un web magazine che si differenzia, come altri certamente, per non fare politica, azione sterile da almeno un trentennio. È SicilyMag, che ha abbracciato contro l'opinione pubblica questa tesi. La territorialità, la cultura e tutto quanto fa Sicilia, con abbonamenti settimanali di 1 euro, mensili di 3 euro e annuale di 26 euro, per sapere tutto quanto accade in Sicilia... terra di straordinaria cultura naturale e ispirativa.