Esce oggi 5 ottobre e per penna di Gianfranco Cefalì , lo recensiamo in anteprima
Luca Cristiano
Mezzafaccia
Del Vecchio
Le recensioni in LIBRIrtà
A cura di Gianfranco Cefalì
"Gli occhi sono bocche che vedono. La bocca è un occhio che mangia.”
Mezzafaccia. È così, per il momento mi sono fermato al titolo. Mi sono fermato qui perché il concetto di metà in me fa subito riecheggiare altri due concetti speculari e complementari, ovvero: unità e doppio. Ogni metà è unita alla sua unità e ogni unità presuppone in qualche modo un doppio. Il suo doppio? Suo dell’unità? O della metà che poi sarebbe anche, in fondo, l’unità? Faccio fatica a capire e al momento ho letto solo il titolo, sarà meglio andare avanti. Continuo: Leonardo DiCaprio. Qui mi fermo di nuovo. Mi viene subito in mente il cinema, inevitabile. Cerco qualcosa in internet sull’attore, voglio capire se ha mai realizzato o recitato in qualche film attinente alla sinossi di questo libro. Mi annoio subito ma riesco a capire che ha recitato in un solo film che si avvicina lontanamente, ma molto lontanamente alla sinossi: Critters 3, film sfortunato nella tempistica e poi successivamente dimenticato, in cui il nostro eroe esordisce nella recitazione all’età di diciassette anni. Wikipedia lo classifica come un film di genere commedia, orrore, fantascienza. Mi vengono in mente anche un altro paio di film: La notte dei morti viventi di George Romero (film che in qualche modo istituzionalizza gli zombie e ne descrive le caratteristiche che diverranno peculiari del genere) ed Essi Vivono di John Carpenter con un grandissimo Ruddy Piper (prima wrestler con una lunga carriera e poi insospettabile attore dal 1978 al 2014, ovvero da quando è un atleta). Capisco che sto andando troppo oltre e mi fermo di nuovo, dovessi continuare così non ne uscirei più, devo essere più stringente e il prossimo stop deve essere per forza alla fine.
Siamo davanti a un romanzo di genere (qui mi preme fermarmi di nuovo per specificare, per chi ancora non lo avesse capito, che il genere è una semplice riduzione che fa riferimento all’editoria e non alla letteratura), siamo nel campo della distopia e del genere horror. Ci sono i non morti o cadaveri viventi o zombie e i vivi o persistenti. Mi fermo anche qui perché questo termine mi intriga tanto, stavolta vado sul sicuro e apro la Treccani: persistènte agg. [part. pres. di persistere] – Che permane costantemente nel tempo, che si prolunga oltre il previsto o comunque per un lungo periodo; continuo, ostinato. Ecco, questi dovrebbero essere i vivi, descritti con questo termine a cui non riesco a dare proprio una connotazione del tutto positiva. Perché? Bella domanda, naturalmente la risposta la lascio poi eventualmente intuire a voi che vorrete leggere questo libro.
Scrivevo del genere: scrivevo distopia, horror. Senza entrare nelle definizioni (che lasciano il tempo che trovano e si modificano crescendo e includendo altri generi formando a loro volta sottogeneri e poi così ancora a cascata con un effetto domino, e qui mi fermo altrimenti rischio di diventare noioso e prolisso) è facile pensare alle metafore più classiche e vedere in questa storia immagini che ormai siamo abituati a elaborare; parliamo di inclusione, razzismo, capitalismo, esclusione, disprezzo, la nostra epoca contemporanea bilanciata con un’ipotetica idea di futuro più prossimo e più remoto, le nostre paure personali e quelle collettive, sociali, culturali (in realtà potrei continuare all’infinito e ampliare a dismisura questa lista, ma sta proprio qui il bello dell’arte, quella vera). È facile dire o scrivere che qualcosa è metafora di qualcos’altro, è facile scivolare sul piattume di certe distopie e riportare in vita i morti viventi per parlare degli esseri umani. In quest’opera c’è dell’altro. C’è il potere della creazione, il potere dell’immaginazione, il potere della cultura, la forza della scrittura. C’è che potrebbe essere un viaggio sotto acido oppure una storia reale, potrebbe essere stata scritta da una scimmia ammaestrata come da un essere umano (questa andrebbe spiegata, ma evito davvero, leggete il libro, poi capirete), potrebbe essere molto vicino a noi o molto lontano (è molto vicino ve lo assicuro), quello di cui sono sicuro è che è scritto da uno Scrittore (la maiuscola ci vuole, magari alla fine della lettura del libro ne converrete con me, si spera, o almeno io lo spero). Insomma, avete capito che siamo in un’epoca lontana non meglio precisata e che il mondo si divide in due grandi categorie, e fino a qui tutto bene. All’interno della narrazione rientra il mito, rientrano gli archetipi (sto leggendo Joseph Campbell) con tanto di favola. Ma l’autore va oltre, va oltre la semplice metafora ed entra nel mondo reale della narrazione, della letteratura, districandosi tra varie condizioni e circostanze o opportunità di vita e umanità, dispiegando le forze della scrittura per tracciare archi di vita che rientrano tutti nelle nostre possibilità conosciute e anche in quelle che alle volte tentiamo disperatamente di conoscere. Parla della memoria, delle nostre memorie, dei ricordi, di quanto essi siano labili, modificabili, immaginabili, immaginifici e assolutamente precari, di come li usiamo, li riconosciamo, li smentiamo. Parla del concreto essere al mondo degli uomini che cercano un posto dove stare, un luogo da abitare sia con il corpo che con la mente. Parla di scrittura, del potere della letteratura, della possibilità che questa sia utile alla salvezza e alla memoria stessa, critica anche una certa idea di scrittura (almeno questo lo penso io). Parla della natura dell’uomo, di come possa essere ineluttabile e inestinguibile, parla di coraggio e della noia, dell’essere soli, del ricercare la ribellione o qualcosa per cui lottare, una lotta non sempre giustificata dagli ideali o da concetti supremi e nobili, parla anche di educazione e scuola, di insegnamento e caratteristiche speciali (lo so, può sembrare troppo quello che scrivo, ma l’autore riesce bene a districarsi all’interno della narrazione andando a colpirci in pieno volto o da qualche altra parte… e lo fa in modo crudo e asciutto, senza fronzoli e senza scadere nella retorica). Potrei dirvi allora di considerare l’aragosta o qualche altro animale, tipo le rane o gli scorpioni o i ratti o i pipistrelli che si librano in volo sopra grosse colonne. Potrei parlarvi della vita di Borodin o di quella di Charles Bukowski, oppure decantarvi le proprietà lenitive e punitive di leggere David Foster Wallace e di doverne sostenere in qualche modo il peso sul cuore… o nella testa? Sì, sto ancora una volta andando oltre, ora cerco di chiudere queste mie riflessioni.
Non so se sono riuscito a farvi capire la bellezza di questo libro, oppure la brutale dolcezza di alcuni passaggi o più semplicemente la grazia che avvolge la storia insieme all’asciutta realtà che si accompagna sempre all’inferno, per tutto il resto, per conoscere la semplice idea che c’è dietro vi basterà leggere la sinossi.
Luca Cristiano usa una scrittura affilata, tagliente, ricca di stile e ispirata nei punti giusti, scrive un testo letterario e allo stesso tempo concreto (dovrei smetterla con questi termini: affilata, tagliente, asciutto, sì, perché queste parole con la molteplicità della ripetizione diventano vuote; dovrei solamente dire: l’autore scrive bene, sa scrivere, è uno scrittore, fa letteratura. E forse ho usato troppe parole, forse dovrei anche io asciugare le mie parole e andare al sodo), riesce a costruire una storia solida in cui ci sembra di viaggiare all’interno (forse dovrei dire nei sotterranei, che sono fisici e mentali) della mente e dei corpi dei protagonisti. Protagonisti tutti diversi e ben caratterizzati che prendendo spunto dagli stereotipi del genere riescono a costruire un’umanità assai complessa e variegata. Sotto un’etichetta di genere (è inutile che io insista su quanto siano errate alcune convinzioni, vero?) l’autore riesce a creare letteratura andando oltre le categorie e riuscendo a trasmettere la potenza delle sue idee. Si riconosce bene nel suo lavoro tutto il suo background (mi scuserete per questo termine inglese, che questa volta preferisco a retroterra) culturale, filosofico e di studi, infatti (qui prendo in prestito la sua biografia dal sito dell’editore) scrive su diverse riviste accademiche e militanti. Per l’editore Effigie ha curato con Enrico Macioci Dentro al nero: tredici sguardi su It di Stephen King. Nel 2016 ha pubblicato per Transeuropa la monografia Crema di vetro: misura e dismisura nei romanzi di Antonio Moresco.
È il primo romanzo che leggo di Luca Cristiano e questa lettura mi ha convinto a recuperare anche i suoi lavori precedenti.
Ora chiudo il cerchio (ne riapro un altro?): “Tiro dentro un respiro pesante, mi sembra di inghiottire il mercurio dei termometri rotti da tutti i bambini del mondo, in tutti i giorni di febbre da cui esiste il mondo.”
L'autore
Luca Cristiano è nato il 16/05/1980 a Potenza e vive a Pisa. Scrive su diverse riviste accademiche e militanti. Per l’editore Effigie ha curato con Enrico Macioci Dentro al nero: tredici sguardi su It di Stephen King. Nel 2016 ha pubblicato per Transeuropa la monografia Crema di vetro: misura e dismisura nei romanzi di Antonio Moresco. Per Prospero Editore ha scritto la raccolta di poesie Brucia la cenere (2017), il volume di racconti La danza delle vergini e delle vedove (2018) e il romanzo L'istrice (2020).
Il libro
Titolo: Mezzafaccia
Editore: Del Vecchio
Pagg.: 256
Prezzo: € 20,00