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Alessandro Colombo - Hana: Poesie di Primavera

01/10/2022 10:43

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Alessandro Colombo - Hana: Poesie di Primavera

L'angolo della poesiaA cura di Francesco Bennardo

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Alessandro Colombo

 

HANA: Poesie di Primavera

 

Autoproduzione

 

L'angolo della poesia


A cura di Francesco Bennardo

 

Alessandro, Colombo, Saronno: nella grammatica italiana queste tre parole vengono identificate come semplici nomi propri, ma nella nostra tradizione culturale ognuna di esse rappresenta qualcosa di più. Alessandro – come il grande condottiero macedone – simboleggia l’ardimento e la conquista; Colombo – come il celebre navigatore genovese – impersonifica l’esplorazione e la scoperta; Saronno – ossia la cittadina in provincia di Varese – è l’amar(ett)o della vita, che spesso arriva alla fine di un percorso. Per una curiosa coincidenza del destino, questi temi li troviamo tutti nella poetica del nostro giovanissimo poeta che, al momento della stesura di questo pezzo, ha conseguito da poco il diploma di maturità.

 

La produzione poetica del non ancora ventenne Alessandro Colombo da Saronno si articola in tre sillogi: due inedite – Io, Bosch e la nebbia e Distesi spazi bianchi – ed una edita, Hana: Poesie di Primavera (autopubblicazione uscita nel maggio del 2022). A fare da trait d’union tra le tre raccolte è il fondamentale tema dell’alienazione, disagio “filosofico” quasi onnipresente nelle liriche del Colombo: sembra che la vita sia una sorta di teatro in cui il disagio psichico fa sempre capolino, anche se di volta in volta con ruoli diversi (mattatore, coprotagonista, spettatore). I dolori del giovane Alessandro non sono da rintracciare nelle “grandi narrazioni” novecentesche fatte di sangue e d’onore bensì nei piccoli, grandi traumi della società italiana superficial-capitalista del XXI secolo: nei suoi versi si materializza la grigia, meccanica routine quotidiana che fa sentire l’autore un piccolo ingranaggio condannato alla sofferenza immotivata, senza neanche la certezza dell’autodefinizione derivante dalla propria esperienza (mi domando se  / sono normale / oppure mediocre si chiede nella lirica Dubbio).

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Disperazione (Sono un’ombra che galoppa incerta / in una radura di ciliegi solitari) e soprattutto Sturm und Drang, con il suo verso anaforico «Mi sento piccolo e solo» ripetuto alla fine di ognuna delle tre romantico-scapigliate strofe che la compongono, sono probabilmente le poesie che meglio fotografano lo stato d’animo con cui il poeta recita la sua parte nel mondo. Egli però cerca di reagire all’avverso destino che sembra prefigurarsi in due modi: uno “grande”, “forte”, ma irto di dolori e incomprensioni, ossia l’amore; uno più “piccolo”, “debole”, che può dare più soddisfazioni nell’immediato ma che a lungo termine si rivelerà d’efficacia effimera, ossia il viaggio.

L’amore che Colombo vive in chiave omosessuale (l’autore ha fatto coming out da diverso tempo) è al tempo stesso passionale e platonico, concreto e astratto; ha sicuramente una valenza fisica e terrena che lo fa assomigliare a quello decantato da un altro grande poeta gay, l’olandese – ma italiano d’adozione – Arnold de Vos (1937-2020): lo si nota per esempio in Risveglio, dove il verso libero di Alessandro si intreccia con la libertà dell’atto sessuale e, per parafrasare Giulia Lamponi, si fa climax di tensione, albeggia e schiarisce luci e ombre, opacità e calore accecante. Prendimi ancora, esordisce esplicitamente Colombo nella lirica sopracitata, salvo poi diventare improvvisamente introspettivo, utilizzando toni romantici e malinconici che si rivolgono più al Sé che all’Altro: Io, che mai ho pensato / che il tuo contatto, / il tuo dolce tocco potesse bagnare i miei occhi di pianto / e stravolgermi il cuore ormai spento / e decaduto. Anche il rapporto di Colombo con l’amore omoerotico e con il sesso è quindi subalterno a quello che è il sentimento amoroso per antonomasia, incontro (si legga la poesia Erotismo: «Sparisce un vestito / e poi un altro / e un altro ancora / e si rimane caldi al freddo, / carni al fuoco / le cui fiamme, / toccandosi / ardentemente avvampano») e scontro, da cui il nostro si considera uscito perdente (si vedano i primi tre versi della poesia Carità: «Non resiste il mio corpo / ai sensi dell’amore / così vili e così possenti»).

In passato siamo stati abituati a trovare nei versi di molti poeti omosessuali un malcelato senso di colpa per la propria condizione: in Colombo, ragazzo ormai moderno, esso è del tutto assente. Tra le righe dei suoi brani è però presente un’altra sensazione iniqua: la paura di rimanere soli. L’amore non è “felicità, tristezza e tormento” come scrisse Alda Merini ma bensì, per dirla con parole sue, “una fiamma che brucia / e il suo calore illumina / da solo il nero della solitudine”. Solitamente, dall’amore e dall’amante ci si attende felicita e passione, ma le aspettative del giovanissimo Alessandro – in virtù di ciò che abbiamo detto nella presentazione introduttiva – sono più alte: redenzione, soccorso, perenne tensione verso l’oggetto del desiderio, piacere fisico e psicologico. In poche parole, la totale concordia tra la ragione razionale e la follia amorosa: solo così il sentimento potrà essere utile a dipanare gli orrori del nostro tempo.

 

Passando al tema del viaggio, qui analizzato da un punto di vista sia simbolico che pratico, esso si risolve in una serie di tappe intermedie che l’autore immortala sulla via di Firenze. Ciò che spinge Colombo a partire è il bisogno di cambiamento e d’avventura, ma esso nasconde anche la nostalgia per qualcosa che, in fondo, non ha mai pienamente vissuto. Il protagonista fugge da una società arida e materialistica destinata a (farlo) morire e nonostante tutto gli sembra di scorgere quelle sensazioni, quelle emozioni, quei sentimenti di cui vorrebbe farsi latore per tutta la vita. Nel tragitto tra La Spezia e Firenze, il nostro visita vari luoghi che gli suscitano agrodolci impressioni brevi e fulminee, la cui fugacità è ben rappresentata dall’esiguità delle liriche di questa sezione della silloge (di solito, composte da quattro versi). Sembra che il poeta, utilizzando la logica inconscia, organizzi le relazioni simmetricamente cancellando così la dimensione spazio-temporale, esclusa quindi dal suo ragionamento: non a caso, le liriche vengono chiamate “visioni”, non “descrizioni”. Ecco alcuni esempi emblematici. Modena: Tristi casolari / rustici e simbolici / abbandonati nella nebbia. Galleria degli Uffizi: Riposa atroce / il cranio di Medusa / ma con lo sguardo / vengo ancor pietrificato. Parma: Che intonsa solitudine / mentre fiocca la neve. / Chissà come sarebbe, vivere / come uno di quei candidi chicchi.

 

Incasellare la poetica di Colombo in una corrente letteraria classica appare impresa ardua giacché egli, neofita del verso e della vita, come tutti gli autodidatti puri è culturalmente onnivoro. Un critico l’ha paragonata a D’Annunzio e Pascoli per gli elementi naturali, ai crepuscolari e a Sandro Penna per la rievocazione della memoria. Mi sento d’aggiungere che alcuni suoi versi sembrano appartenere al filone del simbolismo burchiellesco, vero e proprio topos di tutte le poesie d’eversione – come è, d’altronde, quella omosessuale – fin dal Medioevo: fingere di parlare di qualcosa quando invece il vero soggetto è tutt’altro (ma solo gli “iniziati” e i sensibilissimi lo capiranno). Si prendano i delicatissimi versi della poesia Ad una tisana, col fin che si freddi, semplice ma al tempo stesso raffinata:

 

Sei intruglio di spezie e di erbe bizzarre

o tisana, che il corpo mio scaldi ed inebri

e non vuoi tu stanziar intoccata nel coccio

che candido e bianco sul banco riposa.

Delizia tu hai, bevanda, ché dai giovamento

alla mia fragile lingua, che secca ella spera

che il liquido caldo la ustioni e la avvolga

col gusto fantastico di fiori ed aromi.

Hai atteso, infusione, che mano ti colga

e che al labio assetato vicino ti ponga

e dar tu piacer a chi ti assapora.

Ma in fondo, chi più ha goduto

tra il pio bevitore, che lieto ti adora

o tu, la bevanda, che il fin hai concluso?

 

 

Delicatissimi versi, sì, ma dalla doppia faccia! Parafrasiamo: v’è un processo che necessita d’esser toccato con mano (l’infusione) che produce un liquido caldo (la tisana), il quale dona piacere alla bocca di chi lo assapora (il bevitore), lasciando a quest’ultimo il dubbio su chi abbia goduto di più tra lui stesso e chi ha finito di dare (la bevanda). Siete ancora sicuri che si parli di infusi e decotti? 

 

In conclusione, considerando la tenerissima età del poeta che certamente gli consentirà ampi margini di miglioramento in futuro, ritengo non esagerato definire Colombo un autore potenzialmente «generazionale», in grado cioè d’illustrare con freschezza e cognizione di causa lo sguardo lanciato sul mondo dalla cosiddetta Generazione Z, formata dai nati tra il 1997 e il 2012.