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Bartolomeo Smaldone - Viene una seconda volta il cane fulvo - Alcesti

30/11/2020 23:01

Admin

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Bartolomeo Smaldone - Viene una seconda volta il cane fulvo - Alcesti

Bartolomeo Smaldone - Viene una seconda volta il cane fulvo - Alcesti - L'angolo della poesia a cura di Paolo Pera

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Bartolomeo Smaldone

 

 

 

Viene una seconda volta il cane fulvo

 

 

 

Alcesti

 

 

L'angolo della poesia


LA RICOMPARSA DI POKER 1

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A cura di Paolo Pera

La recente opera del poeta altamurano Bartolomeo Smaldone (in foto), Viene una seconda volta il cane fulvo (Alcesti Edizioni, 2019), pare quasi una saga famigliare (e al contempo un diario intimo nel quale il poeta-narratore è la sua intera famiglia, nel corso di almeno tre generazioni). Viene una seconda volta il cane fulvo, / con un trapezio bianco sotto il muso. […] / Se glielo chiedo, mi apre il suo trapezio bianco / e io gli vedo il cuore, / il posto dov’è nato, / la prima volta che è venuto… Questo cane, quasi il dio protettore del volume, era chiamato Poker – mi confessa Smaldone – e la sua ricomparsa è l’immersione del poeta nel trapezio bianco dell’animale: un tuffo nei ricordi d’infanzia, nelle storie già antiche di quel Meridione che ora non è più. Leggendo questo libro prendiamo ad abitare le reminiscenze dell’autore, che – con un atto di generosità estrema – resuscita il passato per eternizzarlo nell’arte; atto che ci ammalia poiché desueto in una contemporaneità che, per lo più, l’estetizza solo i sé. Partiamo dunque a discernere questa plaquette con una forte simpatia, data dalla particolarità d’un intento alto e da una versificazione assai musicale.

Il Sud non è più quello d’un tempo, le strade che due amanti devono percorrere per raggiungere il bosco ora sono asfaltate, le donne che aspettano i propri promessi sposi (andati in guerra in Abissinia) non cuciono più il loro corredo, le comunicande non sono più gonfie di pizzi bianchi (a mala pena vestono ancora il bianco…); insomma, l’Italia tutta è mutata a suon di dettami del capitale, subendo una sorta d’iper-ritmificazione (ma stonata) in prospettiva d’un fantomatico progresso che sradica costumi e tradizioni secolari per bruciare tutto in piazza come fecero i tedeschi nelle Bücherverbrennungen. In quest’orrida realtà pure la poesia cede per divenire quella prosa (rigorosamente in “versi”) che gli incolti riescono a leggere, ma per fortuna quest’evento della nostra epoca non è integrale: v’è infatti una Poesia che resiste, v’è chi presenta le proprie radici senza vergognarsi di non essere solamente figlio di sé stesso: questo è il caso di Smaldone. Non c’è però solo del male in questo “progresso”, leggiamo: sappi che ogni contadino adesso / ha il suo podere / e lo ama sin dall’alba…​ Domandiamoci dunque se il benessere raggiunto debba essere per forza motivo d’uno smarrimento valoriale o se, altresì, tutto possa coesistere. Nella nobiltà d’allora i figli – venuti senza ricerche, venuti e basta… – erano tutto: Beata tu: non eri ancóra nata / è già ti avevano chiamata “l’amata”, […] / Il nome tuo beato sia per sempre, / beato per la luce che ha portato, / la luce che ogni tredici dicembre / mi penetra diritto nel costato; erano, insomma, quanto dà realmente significato all’esistenza, e avevano il ruolo che oggi spetta ai beni di consumo…

 

 

 

Sento, nel terso ricordo, /ciascuno intonare il suo canto: / lo storpio per l’arto malfatto, / l’orbo costretto all’anfratto / degli occhi; il padre che / s’aspetta un maschio, / la sposa dal ventre infecondo / che in cambio del primo rampollo / inserta di malve un serto / per l’ebano capo del Cristo. / A questi imploranti appartengo […] / Ad essi sia dato sollievo… L’immersione del Nostro entro il cuore del Cane fulvo lo rende ricordo tra i ricordi: un fanciullo che gioca a pallone in cortile, col sacrestano dispettoso pronto a squarciarglielo; figlio d’un paese di anime che cantano il proprio lamento, che gioiscono della pena pur d’ottenere una remissione del peccato d’esserci. Chi è un ricordo, per quanto giusto, non è più: tornati or ora dal campo, sapendo ancora di caldo, questi amati contadini – nati con un’eleganza antiborghese… – vivono perché i discendenti lustrino loro la foto sulla gelida lapide, durante il giorno dei morti: E ci andavamo ai camposanti, / coi calzoncini e certi ramoscelli, / ad allisciare con brindelli / le icone ovali dei nostri parenti / tutti splendenti di perpetua luce. Ognuno di loro s’è portato nella bara la trinità, ogni cristo ha avuto un solo desiderio in quest’esilio terreno: d’ogni / uomo avverto un unico bisogno: / essere visto e non morir / da Cristo su una croce. Snella o schiacciante, invece, tutti l’hanno…

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Mi ha scritto il capraio: / è morto e sta bene; / all’alba non viene / a bussarci alle porte / col tino di latte / a rabboccare il bricco. / Dovremo arrangiarci, / miei piccoli amici, / a esser felici / alla fine di un’era. Quest’esemplare componimento dimostra, attraverso una metafora rurale, quanto già affermavo… non dovremmo essere soddisfatti di tanto decadimento verso “il meglio”: Che brutto momento / abbiamo passato: sapere che / niente sarebbe tornato. 

 

Come ci insegna la maggiore letteratura, non tutte le saghe famigliari – particolarmente se vissute al di fuori della mera narrativa – terminano in bene, ammesso che vi sia un bene entro il quale terminare (la morte farebbe pensare di no). Questa famiglia, questo Meridione ormai già antico (seppur vi fosse ancora appena cinquanta/quarant’anni fa!) è stato assorbito in altre forme, e nessuno più ricorda quanto gli anziani credono ancora... Ma un modo per mimare minimamente ciò che fu allora v’è, il poeta ce lo propone attraverso alcune righe di Pascoli messe in epigrafe: a vivere discretamente, in questo mondo, non è necessario che un po’ di discrezione… Vorrei che pensaste con me che il mistero, nella vita, è grande, e che il meglio che ci sia da fare, è quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna e spaura. L’animo di quegli scomparsi vivrà ancora nello stesso naturale e compassionevole sentimento che l’uomo prova per i suoi simili partendo dall’amor di sé, cercando così di mantenersi savio nel progressivo imbarbarimento modernista.

 

Note

Il titolo della recensione può essere inteso come una parafrasi di quello dell’opera presa in esame.