CARIE DI LUCE NELLA NOTTE
A cura di Paolo Pera
L’opera d’esordio di Enzo Cannizzo, Il cielo pende dai lampioni (Algra Editore, 2020), si presenta come una sinfonia d’immagini assai allettanti. Se dovessimo sintetizzarla in un’immagine a nostra volta potremmo dire che essa sia un lungo alternarsi di notti e di mattine (con intervalli pomeridiani), come ben esplicita l’autore nell’ultimo distico della silloge: la città è di pietra bianca la città / è di pietra nera. Perché, nel mio titolo, parlo di “carie di luce nella notte”? Ebbene, quale cielo potrà mai pendere da un lampione? Quest’ultimo dovrà per forza essere acceso, sennò non ce ne spiegheremmo l’utilità… La luce è dunque il cielo di cui parla l’autore, a mio modesto avviso; di qui potremo comprendere quanto Cannizzo estende per tutto il libro: le poesie presenti in questa raccolta formano quel lampione che fora la notte; una notte quale immenso dente nero con bianche perforazioni qua e là, poste per vedere la città (la vita?) che siamo costretti ad abitare… una città vista dal balcone, una città entro la quale l’urina è intermittente tra le fughe / dei marciapiedi […].
Cannizzo è indubbiamente un autore dal lodevole animo pessimista, soffermarsi infatti sui risvegli e sul buio che ci pervade quando chiamiamo a noi il sonno non dimostra certo spensieratezza (che per lo più odieremmo…). La poesia vuole esistenza, vuole profondità pur potendone fare a meno. Invero l’unica cosa che fa sì che la poesia sia è il ritmo, e Cannizzo lo sa bene: per fortuna taluno canta e / c’è chi scomputa i versi sulle dita; la sua poesia infatti reclama fortemente il diritto d’essere cantata, e scivola nella nostra mente con delicatezza, quasi come se il ritmo che la compone la lubrificasse esteriormente.
Nella sezione pomeridiana, quella centrale, – denominata Controra – i versi paiono quasi giocosi: dei divertissement dolorosi, pari a dei sogni visionari venuti durante il riposo digestivo. Escluderei che tale metafora del giorno richiami i passaggi dell’esistenza, semmai tutto sembrerebbe una grande divagazione onirica nei tre momenti del sonno-cosciente. È forse dormendo che la mente sa realmente amplificare la propria connessione col tutto, avendo così contatto con la “città” che la ospita? Difatti, dormendo, i pensieri sono fulmini senza alcun rombo… E così pure le poesie di Cannizzo che, assemblando immagini con una naturalezza irrazionale, si cedono rispettosamente il posto dentro la mutazione perenne che concorrono a determinare.