Franco Celenza
Il fiore della poesia arabo-islamica
Dalle origini preislamiche al Novecento
Con un'intervista di Laura De Luca
L'angolo della poesia
A cura di Paolo Pera
Con Il fiore della poesia arabo-islamica. Dalle origini preislamiche al Novecento (Puntoacapo Editrice, 2020) abbiamo finalmente a disposizione un’antologia che raccoglie almeno una poesia di ogni autore che dal mondo letterario arabo emerse dal suo nascimento a oggi. A consegnarci quest’opera è lo studioso Franco Celenza1 che – come afferma in un’intervista curata da Laura De Luca per Radio Vaticana, e nell’appendice del volume trascritta – teneva a dimostrare quanto questi poeti arabi siano invero talvolta assai vicini al sentire dell’uomo occidentale odierno: tra tutti i pessimisti quali Abu I-Alà Al-Maarri, o il “califfo libertino” Walìd Ibn Yazìd. Il volume ci dà fin dalle sue prime pagine uno specchietto di storia della civiltà araba: l’ascesa e il consolidamento dell’Islam, i califfati che si sono succeduti, l’invasione mongola e la conseguente decadenza culturale; tutto questo per poi ripiombare in un crescente fermento all’inizio del secolo XIX, dopo la battaglia napoleonica contro i mamelucchi (Battaglia delle piramidi, 21 luglio 1798), che ripristinò l’influenza dell’Occidente nel mondo islamico. Il libro si chiude poi con un florilegio di poeti contemporanei, tra tutti Adonis, tesi ormai a immortalare un Medioriente dilaniato da guerre intestine2 o da rigurgiti d’estremismo (che fondano sé stessi sulla mancanza di un organismo capace di dettare un’unica linea dottrinaria per tutto l’Islam). Celenza non si sottrae poi dal ricordare come i pirati saraceni – in specie dopo la battaglia di Lepanto – fossero usi a imprigionare i cristiani per renderli così schiavi nel Nord Africa; utile questo anche per coloro che solo all’«uomo bianco» imputano errori storici da espiare (possibilmente) col tramonto, trattamento questo non solo riservato ai cristiani poi…
Là dove i poeti preislamici – per lo più di estrazione beduina – esaltavano la bellezza delle donne, le guerre tra tribù, e la vita raminga (avendo già una propensione per la riflessione esistenziale e un timore per le creature del deserto: dagli animali agli esseri fantastici, si veda la ghul) con l’avvento della religione coranica i versi prendono un respiro spirituale se non addirittura ascetico; l’intransigenza poi di alcune sette “puritane” ostacolava l’amore per i piaceri di certi arabi non ancora convertiti, o che – già mussulmani – non potevano non concedersi certe delizie: «Lascia andare tutto questo e bevi il vino / vecchio, giallo, che separa lo spirito dal corpo».
In questa marea di squisiti scriventi appaiono talvolta spiriti pervasi da un razionalismo pre-nichilistico quasi (e non per forza atei, ma certamente scettici al punto giusto), per esempio il sopraddetto Al-Maarri, che si permette di dubitare del Corano giacché tramandato oralmente per varie generazioni prima di essere trascritto: «Sono giunti fino a noi dei racconti che, se veri, / avrebbero qualche valore, ma i loro “isnàd” / (le catene dei trasmettitori) sono deboli. / Tu consigliati con la Ragione e lascia perdere / ogni altra cosa». Con accenni poi alla poesia andalusa – quella “cresciuta” nella penisola iberica (al-Andalus) – dai caratteri erotici e/o malinconici, e un capitolo dedicato ai mistici islamici (i sufi per esempio, e altri ritenuti inizialmente eretici e dunque perseguitati: si veda Al-Hallàg, che – quasi come un proto-Lutero – contestava la dipendenza dei mussulmani dalla Mecca, giacché Dio è onnipresente: «La gente compie il pellegrinaggio (alla Mecca). / Io invece mi reco in pellegrinaggio da Colui che / abita in me») abbiamo un ottimo libro per tentare d’apprezzare questa raffinata poesia e questa sublime civiltà.
Note
1. Drammaturgo e storico del teatro, ha pubblicato testi di saggistica, commedie rappresentate e sceneggiati radiofonici diffusi in rete nazionale. È direttore artistico del Premio Letterario Internazionale “Lago Gerundo” – Paullo (Milano).
2. Si veda per esempio la poetessa Fadwa Tuqan, che canta una Palestina stuprata e occupata, la quale scrive in questi versi il suo desiderio: «Mi basta morire nella mia terra / ed essere in essa sepolta […] / Mi basta essere in grembo / della mia terra natale, / polvere, o erba, o fiore».
Il poeta
Franco Celenza ha pubblicatò un'infinità di opere per prestigiosi editori. Tra queste: "D’annunzio drammaturgo. Pagine scelte da tutto il teatro" (Ledizioni, Milano 2013), "La notte dell’Antigone. In memoria di Josif Stalin" Femmine e Muse. e tante altre opere per prestigiosi editori