A cura di Riccardo Sapia
Ho sempre pensato che ambientare un romanzo in una Casa, con la C maiuscola, significasse un legame profondo tra lei e lo scrittore. E sono questi i casi in cui la Casa, senza la perizia dell’autore nel minuzioso e approfondito affondo sui personaggi, rischia di diventare protagonista assoluta della storia. Daniele ci è riuscito in pieno e della prima ha saputo ritrarne i contorni e i particolari così minuti da permetterci di accomodarci in uno degli ambienti della stessa di cui, se non rischiassi di apparirvi eccessivamente pedante e forse anche un po’ noioso, potrei benissimo disegnarne la pianta. Questo evidenzia la capacità di Petruccioli di descrivere la scena prima di dare il via all’azione, scena senza la quale non ci sarebbe stata la storia, o meglio questa storia. E la cura nel descrivere è, in questo caso, direttamente proporzionale all’efficacia della restituzione di ciò che l’autore vuole dirci. Il risultato è un testo ben scritto, denso di significati, commovente, se non, addirittura, a tratti struggente.
La storia è una sorta di saga famigliare che ha come protagonisti due gemelli che devono fare i conti con due genitori giovani, troppo giovani e, seppur dotati di tutta la loro buona volontà, alquanto sprovveduti, e i nonni, figure fondamentali nella prima parte della loro adolescenza ma, ahimé, con una data di scadenza di breve durata. I ragazzi vivono il loro rapporto dapprima vicini, incontrandosi e, infine, scontrandosi, sotto gli occhi dei due genitori i quali, spaventati di ferire uno dei due contendenti, si appellano al non interventismo. Il risultato è presto detto, Elia ed Ernesto si separano non senza dolore e, poco alla volta, si allontanano l’uno dall’altro. La famiglia, si sa, può trasformarsi in un coacervo dei peggiori sentimenti. E in questi casi la cifra da pagare è alta, e non ammette sconti, e nemmeno risarcimenti, se non quello di poter dire un giorno nella vita adulta, - Siamo ancora qui, abbiamo oltrepassato il tunnel della sofferenza e fortunatamente ne possiamo parlare -.
In La casa delle madri, comunque, c’è tanto amore e tantissima tenerezza. Una tenerezza commovente quella di Speedy, bello, spigliato, che non farebbe male a una mosca ma che col suo silenzio, evidentemente, e soprattutto con la sua assenza, riesce a produrre, suo malgrado, ferite molto più grandi, da compromettere l’integrità mentale di uno dei due figli.
In tutto questo “divenire”, l’unico testimone che non smette mai di tenere, contenere e mantenere un rapporto costante con i componenti della famiglia è la Casa. La casa che cambia insieme a loro, che si configura alle nuove esigenze, che si trasfigura nella speranza di dotarla di una nuova personalità. Stanze che si uniscono, altre che nascono da ambienti ormai troppo grandi. Porte che vengono sostituite. Marmi che non ci sono più. Corridoi bui, che avevano rappresentato le prime “prove” tra fratelli nell’illusione di essere diventati adulti, adesso scompaiono per lasciare spazio alla luce e aprire le porte a una nuova vita. E noi, tenuti per mano da Daniele, seguiamo questo divenire “altro” senza stancarci mai, e non è che non sappiamo come sarà, ne siamo al corrente, ma non è questo il punto, è altro ciò che conta. La struttura del romanzo è organizzata da salti temporali che l’autore rivendica per fissare i punti di caduta e di rinascita, quelli che segnano una rottura, affinché sin da subito sia ben chiaro che il tempo non fa sconti a nessuno e che ciò che saremo non è altro che la somma non di ciò che si è fatto ma di tutte le rinunce e le mancanze cui si aggiungono inevitabilmente tutte le assenze. Ed è sulla cifra dell’assenza che l’autore intende giocare. Lui ci dice che nonostante il peso dell’assenza, appunto, non possiamo permetterci di scappare, di abdicare alle inevitabili conseguenze. Per due motivi, perché il nostro legame con gli oggetti, e quindi con i luoghi, non deve mai essere secondario a tutto l’accadibile. In secondo luogo, scappare da un luogo per via di un’assenza, e quindi di un dolore, rischierebbe di trasformare lo stesso, il luogo, in un tempio, in un luogo sacro, rischiando di perdere noi stessi nella “cosmogonia” del nostro dolore. Le case sono state testimoni inconsapevoli e saranno sempre custodi naturali della nostra memoria. Sono i muri che ricordano e ci ricordano quel che è stato, come si era e come, ovviamente, non si sarà mai più. In una casa ci sono tutti gli “io” che ci sono appartenuti, e lei ce li racconta. La casa conserva tutto, fino al più piccolo dettaglio.
In “Italia” di Marco Lodoli, per esempio, la Casa rappresenta il luogo dove lei, Italia, registra la formazione, la crescita e il disfacimento di una famiglia. Ma qui la casa non muta, ma, muta, assiste, suo malgrado, al divenire della famiglia. Non c’è qui, da parte dell’autore, il tentativo di rinascita attraverso il cambiamento e lo stravolgimento degli ambienti. Qui, Lodoli rappresenta la Casa come un quadro, anzi come un riquadro all’interno del quale svolgere l’azione.
La Casa in “Fratelli”, sempre romana, sempre dell’ultimo quarto del novecento, funge da contenitore dentro il quale emerge e si muove il disagio psichico di uno dei due protagonisti, che non tarda a trasformarsi in un vero e proprio disturbo mentale.
Qui la casa è necessariamente disadorna, metafora di una mente nuda che si è spogliata di quella lucidità necessaria per affrontare il mondo. E qui si svolge la lotta impari tra i due fratelli, il “savio” dei quali tenta in tutti i modi, e vanamente, di riportare il fratello dentro i binari di un’esistenza accettabile.
Se in “La casa delle madri” ci fosse stata una variante in corso di stesura, mi viene spontaneo immaginare che questa avrebbe potuto tranquillamente finire tra le pagine di “Fratelli” di Carmelo Samonà. Però, c’è un però, il libro di Petruccioli vive di una straordinaria vita propria. È solo che a me piace “viaggiare” con la fantasia, e costruire trame alternative, più o meno lecite, più o meno accettabili.
C’è un filo, comunque, che tiene unite queste tre case. Questo filo è la cupezza, la tristezza che suscitano, e che insieme rappresentano, a mio parere, una metafora dello stato d’animo dei loro protagonisti.
L’assenza di luce che cela un vissuto inconfessabile e che solo nel libro di Petruccioli vive il tentativo di trascendere il passato attraverso una “veste” nuova. E, si sa, le buone intenzioni non necessariamente volgono verso un roseo finale, ma in questo caso “tradiscono” comunque un grande cuore, quello del suo autore.
L'autore
Daniele Petruccioli è nato a Roma nel 1970. In passato si è occupato di teatro, ma da anni lavora prevalentemente come traduttore. Ha pubblicato i saggi Falsi d’Autore. Guida pratica per orientarsi nel mondo dei libri tradotti (Quodlibet 2014) e Le pagine nere. Appunti sulla traduzione dei romanzi (La Lepre 2017). La casa delle madri è il suo primo romanzo.
Il libro
Titolo: La casa delle madri
Edizioni: TerraRossa
Pagg.:
Prezzo: € 16,00 (in e-book € 8,99)
Voto/Valutazione: 9/10